domenica 5 dicembre 2010

magnetico divertito girare sospeso




One pill makes you larger
And one pill makes you small
And the ones that mother gives you
Don't do anything at all
Go ask Alice
When she's ten feet tall

And if you go chasing rabbits
And you know you're going to fall
Tell 'em a hookah smoking caterpillar
Has given you the call
Call Alice
When she was just small

When men on the chessboard
Get up and tell you where to go
And you've just had some kind of mushroom
And your mind is moving low
Go ask Alice
I think she'll know

When logic and proportion
Have fallen sloppy dead
And the White Knight is talking backwards
And the Red Queen's "off with her head!"
Remember what the dormouse said:
Feed your head
Feed your head
Feed your head



WHITE RABBIT - Jefferson Airplane

venerdì 8 ottobre 2010

GraffiAmi



LA CANZONCINA DELL’INADEGUATA


O troppo alta, o troppo bassa

Le dici magra, si sente grassa

Son tutte bionde, lei e’ corvina

Vanno le brune, diventa albina

Troppo educata, piaccion volgari

Troppo scosciata per le comari

Sei troppo colta, preparata

Intelligente, qualificata

Il maschio e’ fragile, non lo umiliare

Se sei piu’ brava non lo ostentare

Sei solo bella ma non sai far niente

Guarda che oggi l’uomo e’ esigente

L’aspetto fisico piu’ non gli basta

Cita Alberoni e butta la pasta

Troppi labbroni non vanno piu’

Troppo quel seno, buttalo giu’

Bianca la pelle, che sia di luna

Se non ti abbronzi, non sei nessuna

L’estate prossima con il cotone

Tornan di moda i fianchi a pallone

Ma per l’inverno la moda detta

Ci voglion forme da scolaretta

Piedi piccini, occhi cangianti

Seni minuscoli, anzi giganti

Alice assaggia, pilucca, tracanna

Prima e’ due metri, poi e’ una spanna

Alice pensa, poi si arrabatta

Niente da fare, e’ sempre inadatta

Alice morde, rosicchia, divora

Ma non si arrende, ci prova ancora

Alice piange, trangugia, digiuna

E’ tutte noi, e’ se stessa, e’ nessuna.


Da "Alice, una meraviglia di paese" di Lella Costa

lunedì 13 settembre 2010

gli occhi non sorridono mai




gli occhi non sorridono mai. e i sorrisi autentici, scaturiti dal cuore prima che dalle labbra, sono ancor più rari.
l'illusione che vada tutto bene è svanita da un pezzo, prima che iniziassi la mia intera carriera scolastica (ovviamente fallimentare).
mi raccontano che ho iniziato a parlare tardi, tardissimo, praticamente a quasi cinque anni, pronta, volente o meno, per affrontare le elementari da primina. fino a quel momento mi esprimevo con sguardi, gesti e ampi silenzi. molte volte tentavo di inviare il mio gatto, mio fido amico e compagno, come ambasciatore di un mio volere o esigenza ma non sempre ottenevo la sua disponibilità e collaborazione.
ho sempre giocato da sola: la compagnia mi metteva già all'epoca in soggezione perchè intuivo distintamente la differenza che intercorreva tra me e i bambini che mi stavano attorno. silenzio e grida stridono tra loro e io lo sapevo. disegnavo, coloravo, scrivevo pensieri(ni) su quaderni che rilegavo con amore e cura: più che i giochi di un bambino sono i canali espressivi di chi vuol far credere di essere diventato adulto ma sa, in cuor suo, che non c'è nulla di più distante dal vero.
in tenera età vivevo per lo più sotto i tavoli, quasi fossero le tane sotterranee che le volpi scavano per rifugiarsi dall'aspro mondo selvaggio. io mi rifugiavo dal mio che è sempre parso più una gabbia che un pascolo verdeggiante.
ho sempre avuto questa inquietudine pulsante dentro di me, aggrappata strenuamente al mio sterno di bambina, invecchiata senza essere cresciuta.
quando mi dicono "sei strana" penso a cosa c'è di normale al giorno d'oggi e mi pare di vivere un paradosso esistenziale da cui non vi è ritorno. in risposta non dico mai nulla. mi limito a fissare il mio interlocutore con aria assente e dentro di me si scandiscono sempre le stesse parole "me dispiace, ma io so' io e voi non siete un cazzo!" arriccio le labbra, sorniona sorrido sotto i baffi. in tutta sincerità non credo a quella frase partorita mentalmente ma così sdrammatizzo l'insostenibile pesantezza di chi sa di essere diverso.

.tratto da una lettera a un'amica.

mercoledì 25 agosto 2010

Voodoo Girl















Her skin is white cloth,
and she's all sewn apart
and she has many colored pins
sticking out of her heart.

She has many different zombies
who are deeply in her trance.
She even has a zombie
who was originally from France.

But she knows she has a curse on her,
a curse she cannot win.
For if someone gets
too close to her,

the pins stick farther in.


"Tim Burtons: The Melancholy Death of Oyster Boy and Other Stories"



giovedì 5 agosto 2010

esercizi di bio(grafia)



MariLeBone nasce a Torino nel pieno degli anni ’80 e prosegue la sua crescita fisica ed emotiva nella grigia e desolata landa biellese.

Si diploma presso il liceo classico Q. Sella a cui deve l’affinarsi della sua ricerca introspettiva e del suo utilizzo delle parole come veicolo comunicativo di primaria importanza.

A 19 anni compie la sua prima esperienza di vita al di fuori del nido e vola al di là della Manica, a Londra, in cui risiede per 12 mesi densi di evoluzioni e significati nascosti, ampliando la sua sensibile percezione alle immagini e al mondo che esse racchiudono nel loro intimo.

Tornata in terra italica, sceglie Torino per intraprendere gli studi di fotografia presso l’Istituto Europeo di Design. Qui forma e demarca la sua personale visione in ambito fotografico, propendendo per una lettura artistica e creativa delle immagini tratte dall’ordinaria realtà.

Attualmente risiede nomade nella campagna biellese e procede imperturbabile nella sua ricerca interiore di altri mondi esplorabili grazie alla visione fotografica.


“L’immagine fotografica è una realtà in sé, una registrazione di informazioni di ciò che le ha emesse, un mezzo per capovolgere la luce e trasformarla in ombra.”


my stream on flickr


venerdì 30 luglio 2010

BiPolare BiGnami

























"Se io avessi un mondo come piace a me, là tutto sarebbe assurdo: niente sarebbe com'è, perché tutto sarebbe come non è, e viceversa. Ciò che è, non sarebbe e ciò che non è, sarebbe."

"Allora dovresti dire quello a cui credi", riprese la Lepre Marzolina.
"È quello che faccio", rispose subito Alice; "almeno credo a quello che dico, che poi è la stessa cosa."
"Non è affatto la stessa cosa!" disse il Cappellaio. "Scusa, è come se tu dicessi che vedo quello che mangio è la stessa cosa di mangio quello che vedo!"

"Ma io non voglio andare fra i matti", osservò Alice.
"Be', non hai altra scelta", disse il Gatto "Qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta."
"Come lo sai che sono matta?" disse Alice.
"Per forza," disse il Gatto: "altrimenti non saresti venuta qui."


"Quando uso una parola", Humpty Dumpty disse in tono piuttosto sdegnato, "essa significa esattamente quello che voglio – né di più né di meno."
"La domanda è", rispose Alice, "se si può fare in modo che le parole abbiano tanti significati diversi."
"La domanda è," replicò Humpty Dumpty, "chi è che comanda – tutto qui."


giovedì 29 luglio 2010

Scars on Land



We take what's dead
And breathe life in
And move like knives
Through scars on land

Still untouched
No stain of hands
Caramelized
In a tilted light

No chain stays unbroken
All aims get forgotten

The weight of lead
On floors of sand
The idea reduced again
To outcome

No chain stays unbroken
All aims get forgotten

Scars on Land - Kings of Convenience

martedì 27 luglio 2010

Silk Syllables



"This was a Poet — It is That
Distills amazing sense
From ordinary Meanings —
And Attar so immense

From the familiar species
That perished by the Door —
We wonder it was not Ourselves
Arrested it — before —

Of Pictures, the Discloser —
The Poet — it is He —
Entitles Us — by Contrast —
To ceaseless Poverty —

Of portion — so unconscious —
The Robbing — could not harm —
Himself — to Him — a Fortune —
Exterior — to Time —"



Emily Dickinson

lunedì 26 luglio 2010

here I am

Fotografo perchè è l'unico mezzo espressivo attraverso cui riesco a spurgare via le sensazioni, a volte velenose, assorbite dall'esterno.
Sono empatica, estremamente sensibile a parole, gesti, sguardi, a tutto ciò che riguarda e tocca l'umano.
Non potrei tenere tutto l'universo di emozioni che vivo visceralmente dentro un cuore come il mio, tanto fragile, quindi tento di buttarlo fuori con un'immagine.
Scrivo anche sotto forma di una prosa poetica ma non mi basta: ho bisogno di ampliare il mio raggio d'espressione e da questo presupposto ho iniziato a interessarmi alla fotografia.
E la mia fotografia è molto particolare, quasi non riconducibile a quella autentica: io non mi focalizzo quasi mai sull'attimo ma ci vedo sempre un mondo dietro e tento di rappresentarlo.
Questo è come vivo il creare immagini. E non potrei fare altro che questo.


Tu ch'entri qua con mente parte a parte et dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte.”

Vicino Orsini